Il nostro centro offre una decennale esperienza nella gestione mininvasiva della chirurgia nephron-sparing, a partire dalla chirurgia laparoscopica con approccio trans e retroperitoneale fino ad arrivare alla chirurgia robot-assistita.
La nefrectomia parziale laparoscopica robot-assistita (RAPN - Robotic Assisted Partial Nephrectomy) è un intervento chirurgico eseguito in anestesia generale per il trattamento mini-invasivo delle neoformazioni renali.
La RAPN viene condotta con il sistema robotico da Vinci: l’ospedale Poliambulanza dispone infatti dell’ultima e più evoluta versione del robot, il modello Xi®. L’intervento prevede l’esecuzione di 5 o 6 piccoli fori (del diametro massimo di circa 1 cm) sull’addome del paziente. Tramite tali accessi vengono posizionate delle cannule – trocars – che mettono in comunicazione la cavità addominale (peritoneale o retroperitoneale a seconda della tipologia di accesso stabilita dal chirurgo) con l’esterno.
Per poter svolgere l’intervento viene quindi sviluppato uno spazio nell’addome con l’insufflazione di anidride carbonica e, attraverso i trocars, vengono poi inseriti una telecamera (che vede l’interno) e gli strumenti per l’operazione (pinze, forbici, porta-aghi, ecc). I trocars vengono installati al robot chirurgico, il quale non esegue nessuna manovra in autonomia, ma corregge e affina i movimenti del chirurgo che dirige l’intervento.
Quest’ultimo si siede ad una postazione in prossimità del paziente e guarda in un visore che mostra l’interno dell’addome, indossando delle manopole che consentono di controllare a distanza i bracci del robot, e quindi gli strumenti chirurgici.
Un altro chirurgo collabora all’esecuzione dell’intervento posizionandosi al tavolo operatorio e governando la strumentazione accessoria. Un’equipe infermieristica allestisce la sala operatoria, gestisce gli strumenti, i fili di sutura, le garze, eccetera.
La RAPN prevede l’asportazione esclusiva della neoformazione renale e del tessuto adiposo peri-lesionale, risparmiando il rene sano circostante (a seconda della tecnica adottata, per motivi di radicalità oncologica può essere eseguita anche l’asportazione “di sicurezza” di un margine di tessuto parenchimale renale sano adiacente alla neoformazione). Il pezzo operatorio viene estratto da una delle porte laparoscopiche (la cui incisione viene adeguatamente ampliata) previo inserimento in apposito endobag.
In alcuni casi selezionati potrebbe risultare opportuno applicare un tutore ureterale a Doppio-J per drenare la via urinaria.
Generalmente al termine dell’intervento vengono posizionati un tubo di drenaggio nella cavità retroperitoneale e un catetere vescicale trans-uretrale. Nel corso dell’intervento potrebbero rendersi necessarie ulteriori procedure terapeutiche per la salvaguardia del paziente, con il ricorso a trattamenti più invasivi o più radicali rispetto al target iniziale.
In linea generale in prima giornata postoperatoria si riprende un’alimentazione libera, ci si alza dal letto e viene rimosso il catetere vescicale. Il drenaggio viene rimosso generalmente dopo 24-48 ore dall’intervento.
A partire dalla 3°/4° giornata postoperatoria è possibile la dimissione a domicilio del paziente.
Dopo la RAPN, soprattutto in pazienti ad alto rischio di complicanze trombo-emboliche, è indicata una profilassi con eparina a basso peso molecolare in somministrazione sottocutanea.
Il ritorno a una vita attiva, comprensiva di attività a moderata intensità fisica, è possibile generalmente dopo 2/3 settimane dall’intervento.
Infine, il paziente sottoposto a RAPN è successivamente condotto in uno specifico programma di follow-up, perché anche nei casi curati completamente dall’operazione, nel corso degli anni è indicata una opportuna sorveglianza per l’identificazione precoce di recidive.
In casi particolari, quali tumori di piccole dimensioni, malattia bilaterale o neoplasie difficilmente aggredibili chirurgicamente, una delle opzioni praticabili è la terapia focale, ossia l’ablazione della massa usando il freddo (crioablazione) o il caldo (termoablazione). Eccezionalmente, soprattutto nei pazienti anziani con tumori di piccole dimensioni, si può ricorrere alla sorveglianza attiva: il paziente viene monitorato periodicamente per accertare eventuali variazioni nel tumore e intervenire con tempestività.
Il tumore renale metastatico non viene trattato con la chemioterapia classica, ma con le terapie a bersaglio molecolare e con l’immunoterapia. Attualmente lo standard di terapia prevede la combinazione di un farmaco immunoterapico con un farmaco biologico a bersaglio molecolare, che riconosce e agisce su specifiche molecole che contribuiscono a inibire l’angiogenesi (cioè la formazione dei vasi sanguigni) e quindi la crescita del tumore.
I farmaci immunoterapici utilizzati fanno parte dei cosiddetti “inibitori dei checkpoint immunologici”, anticorpi monoclonali che “tolgono il freno” ai linfociti, un tipo di globuli bianchi in grado di distruggere le cellule tumorali.
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