L'endometriosi è una patologia cronica benigna caratterizzata dalla presenza di tessuto simil-endometriale ectopico, cioè localizzato al di fuori della cavità uterina.
Le sedi più spesso coinvolte sono l’ovaio, dove si possono formare cisti chiamate “endometriomi”, la tuba, il peritoneo (sottile membrana di rivestimento degli organi addominali), il retto, la vescica e gli ureteri, ma potenzialmente può presentarsi in qualsiasi distretto corporeo.
Ad oggi non è ancora chiara la patogenesi dell'endometriosi.
La teoria più accreditata è quella della “mestruazione retrograda”: durante il flusso mestruale, alcune cellule endometriali sfaldate, invece di transitare verso l'esterno attraverso il canale vaginale, percorrerebbero una via retrograda trans-tubarica, andandosi a impiantare nella pelvi in pazienti predisposte.
Si pensa inoltre che nello sviluppo di tale malattia possa avere un ruolo di rilievo una disregolazione del sistema immunitario.
Si stima che circa il 10-15% delle donne in età fertile siano affette da endometriosi. Nella popolazione di pazienti infertili questa percentuale sale fino al 50%.
L'endometriosi è asintomatica nel 20-25% dei casi.
Nei restanti casi può causare:
Più raramente può causare dischezia (defecazione dolorosa), ematochezia (sanguinamento con la defecazione), disuria/pollachiuria (minzione difficoltosa o dolorosa) ed ematura (sanguinamento con la minzione).
La gravità dei sintomi riferiti dalla paziente può non essere proporzionale all’estensione della malattia.
Nel tempo l’endometriosi può determinare una sintomatologia invalidante e scarsamente responsiva alle terapie disponibili, soprattutto se non riconosciuta e trattata.
Può capitare che l’endometriosi causi un danno d’organo, più spesso a carico delle vie urinarie e del tratto gastro-intestinale.
L’endometriosi è una malattia subdola e spesso le pazienti scoprono di esserne affette anni dopo la comparsa dei primi sintomi.
La valutazione clinica specialistica prevede un’accurata raccolta anamnestica seguita dalla visita e da un’ecografia ginecologica mirata.
Nella maggior parte dei casi la visita e l’ecografia ginecologica eseguite da operatori esperti consentono la diagnosi e il corretto inquadramento della patologia, ma talvolta possono essere necessari ulteriori approfondimenti radiologici quali, per esempio, la risonanza magnetica della pelvi o la TAC.
Per una diagnosi certa di endometriosi bisognerebbe svolgere un intervento chirurgico con esame istologico delle lesioni, tuttavia nella pratica clinica questo approccio non si rende quasi mai necessario.
Il trattamento dell’endometriosi si avvale di terapie mediche e chirurgiche.
La terapia medica prevede generalmente l’utilizzo di preparati ormonali, estro-progestinici e progestinici, con l’intento di controllare il quadro sintomatologico e di arrestare la progressione della malattia. Talvolta possono invece essere utili terapie non ormonali che agiscono bloccando il ciclo mestruale. I farmaci antalgici possono essere considerati coadiuvanti nella gestione dei sintomi.
La terapia chirurgica viene riservata ad alcuni casi specifici, quali il mancato controllo della malattia con la terapia medica, l’infertilità e il riscontro di danno d’organo.
Generalmente si utilizzano tecniche chirurgiche mini-invasive con l’intento di asportare le lesioni endometriosiche identificabili e di
ripristinare la corretta anatomia pelvica, modulando l’intervento anche in relazione alle necessità specifiche della paziente.
In casi selezionati può essere indicata l’esecuzione di una chirurgia più demolitiva, che può contemplare la resezione di strutture delle vie urinarie (in particolare ureteri e vescica) o del tratto gastro-intestinale (più spesso retto-sigma), ma anche l’asportazione di utero e/o ovaie. Al tempo demolitivo segue quello ricostruttivo, nel quale si ripristina la continuità del tratto interessato.
L'intervento chirurgico, anche quando perfettamente riuscito, non è da considerarsi una terapia definitiva: in assenza di terapia medica l’endometriosi può infatti ripresentarsi in più del 40% dei casi.
Quando le terapie tradizionali non consentono un adeguato controllo della sintomatologia, talvolta aggravata dai ripetuti interventi chirurgici eseguiti nel tempo, è possibile avvalersi di approcci specialistici nell’ambito della terapia del dolore.
La scelta terapeutica finale rappresenta il risultato di uno studio attento delle caratteristiche e delle necessità della paziente, che attivamente aderisce al patto terapeutico creando i presupposti per la buona riuscita del trattamento.
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